Come talvolta è stato fatto notato dagli storici della scienza, nelle culture pre-scientifiche dominava una descrizione simbolica del mondo svolta secondo un registro fondamentalmente binario, la quale, muovendo dalle immagini archetipiche del binomio cosmico sole-luna, ad esso faceva corrispondere analogicamente ogni ente manifestato ed ogni suo aspetto: il giorno e la notte, il bianco e il nero, il maschile e il femminile. Questa bipartizione di base veniva però spesso concepita nella dinamica di un’alternanza incrociata, secondo una legge naturale per la quale ogni ente manifestato in un ordine di esistenza sottoposto al dominio binario, deve per definizione ritrovare anche in se stesso tale bipolarizzazione. Come in una infinita catena di scatole cinesi, ogni ente che secondo l’impianto “figura-sfondo” partecipa dell’idea della “figura” o dello “sfondo” (per esprimerci secondo un simbolismo visivo), deve a sua volta ritrovare in sé una identica bipartizione dei suoi elementi costitutivi, e così all’infinito. Per questo motivo alla base delle catene simboliche tradizionali si ritrova spesso – più che il simbolo binario – quello del quaternario. Il numero 4 e la sua raffigurazione iconica, il quadrato (che poi diventa cubo, casa etc.), corrispondono sempre ad una raffigurazione simbolica del “mondo” nel suo insieme, inteso sul suo versante più propriamente materiale.1
Un chiaro esempio di questo complesso simbolico bi/quaternario, particolarmente utile a comprendere il tema della bipolarizzazione sessuale nel simbolismo tradizionale, ci è offerta dal simbolo estremo-orientale dello Yin-Yang. Prototipo concettuale, filosofico e metafisico, di ogni polarizzazione (interno-esterno, contrazione-espansione etc.), tali “qualità cosmiche” alle quali ogni essere manifestato parteciperebbe e dall’equilibrio delle quali deriverebbe lo stato della sua condizione esistenziale, sono primariamente descritte come corrispondenti al principio maschile (lo Yin) e al principio femminile (lo Yang). I testi sono espliciti nell’affermare un aspetto di tale simbolismo sessuale che – oltre ad applicarsi al caso in oggetto – vale come regola generale per ogni bipolarizzazione: l’uomo – si dice – è Yin fuori e Yang dentro, la donna Yang fuori e Yin dentro. Ecco nascere quel “quaternario” che anche le scienze occidentali – dalla psicologia di C. G. Jung con i suoi “quattro tipi psicologici” fondamentali, alle scoperte biologiche relative alle cosiddette “quattro lettere” del DNA – spesso hanno indicato come struttura di base dell’universo.
La corrispondenza più immediata individuabile fra la concezione tradizionale del quaternario (o del doppio binario, se vogliamo) e la scienza moderna, riguarda la fisica dell’elettro-magnetismo, spesso accostata – appunto – al simbolo cinese dello Yin-Yang. Stilando una tabella di corrispondenze fra i vari elementi che simboleggiano gli opposti nei simbolismi tradizionali, troveremo i molti binomi: luce/tenebra, machile/femminile, vita/morte, esterno/interno, pieno/vuoto, espanso/contratto, anima/corpo, e via di questo passo, per arrivare al binomio – così caro alla scienza sperimentale dell’ottocento – elettrico /magnetico.
L’iconografia occultistica del famigerato Baphomet dei Templari, quel capro di Mendes divenuto poi impropriamente simbolo di un generico “satanismo” rituale, esprime secondo il suo stesso ideatore, Elifas Levi, esattamente l’unione delle due opposte e complementari forze elettro-magnetiche, il cui equilibrio ermafroditico genererebbe, nell’Opera, la cosiddetta luce astrale, l’elemento magico cardinale dell’impianto simbolico dell’ermetismo, che alchemicamente produce l’illuminazione spirituale.
E’ “elettrico” il fulmine di Giove, emblema iconico della capacità creativa maschile e fallica, connessa al fuoco e al cielo e simboleggiato dal bastone (il fallo), è “magnetica” l’acqua dell’oceano primordiale, ventre della grande Madre connotata alla terra e alla materia corporea e simboleggiata dalla coppa (l’utero).
Esistono d’altronde vari simbolismi, nel contesto delle culture tradizionali, che identificano – nel segno della grande ripartizione simbolica che fa corrispondere l’elemento igneo al principio maschile e quello acquatico al principio femminile – il potere creativo maschile con oggetti e simboli connessi al fuoco e alla luce: il sole nel simbolismo zodiacale, il bastone (come nel caso del corrispondente seme negli arcani minori delle carte dei Tarocchi), la luce, che nella letteratura del vedânta è associata al seme maschile, come accade metaforicamente nel caso dell’atto creativo descritto nell’Antico Testamento, il momento cosmogonico del fiat lux.
Nella mitologia greca Zeus, Re degli dei e dio della terra e del cielo, come simbolo del suo dominio sui venti e sulla pioggia, stringeva nella mano destra un fulmine, insieme allo scettro tenuto nella sinistra. Era detto il “Tuonante” o il “Saettatore”. Infatti il fulmine è l’arma ed il principale attributo anche di Giove, e simboleggia nella sua forma attiva il fuoco celeste, la scintilla della vita ed il potere fertilizzante. Il fuoco si compara con il fulmine per la sua maniera di manifestarsi. Anche la tradizione semitica fa coincidere il fuoco “elettrico” con il potere creativo: “(…) vennero tuoni e lampi e una densa nube coprì il monte, e si udì un frastuono molto forte, (…) tutto il Monte Sinai fumava perché Jehova vi era sceso” (Esodo 19). “La voce di Jehova che spande fiamme di fuoco” (Salmi 29).2
D’altra parte la madre terra, che è alla radice di tutte le mitologie, era chiamata dai Greci Gea, divinità simile a quella che gli scandinavi chiamavano Erda. Vuole il mito che Gea – o Gaia -, la terra, divinità pre-olimpica, all’inizio della creazione nascesse dal Caos primordiale e desse origine a tutta la stirpe degli immortali e alla terra. Dopo di lei altri elementi ed altre divinità apparvero nel mondo, tra cui Urano, il cielo, che divenne suo sposo e dalla cui unione nacquero molti figli, tra cui il titano Crono, padre di Zeus.3 Gea veniva venerata oltre che come dea dei morti e dell’oltretomba – considerato che i morti ritornano alla terra – anche come dea allevatrice dei bambini, ed era raffigurata a mezza figura uscente dal suolo.
Ma è Eliphas Levi, occultista ottocentesco che fu l’”inventore” dell’occultismo, o almeno di questo termine, mago e scrittore francese che influenzò la cultura del novecento molto più di quanto comunemente si voglia ammettere, che – unitamente all’immagine allegorica del già citato Bafometto – ci offre illuminanti considerazioni circa l’immaginario fin de siècle connotato all’elettro-magnetismo. Egli – ne la sua Storia della magia – scrive:
(…) ma essi (i magi, n.d.c.) possedevano anche dei segreti che li rendevano i padroni delle potenze occulte della natura. Questi segreti, che nell’insieme possono essere definiti pirotecnica trascendentale, si ricollegano alla conoscenza profonda e al dominio del fuoco. È sicuro che i magi conoscessero l’elettricità, e che avessero dei mezzi per produrla e dirigerla che ci sono oggi ignoti.
Numa, che studiò i loro riti e fu iniziato ai loro misteri, possedeva, a dire di Lucio Pisone, l’arte di formare e dirigere la folgore. Questo segreto sacerdotale che l’iniziatore romano voleva riservare ai sovrani di Roma, venne perduto da Tullio Ostilio che diresse male la scarica elettrica rimanendo fulminato. Plinio riporta questi fatti come un’antica tradizione etrusca (Plinio, libro II, cap. 53), e racconta che Numa si servì con successo della sua batteria folgorante contro un mostro chiamato Volta che devastava la campagna di Roma. Non si crederebbe, leggendo questa rivelazione, che il nostro fisico Volta sia un mito, e che il nome delle pile voltaiche risalga al secolo di Numa?
Tutti i simboli assiri si riferiscono a quella scienza del fuoco che è stata il grande arcano della magia; ovunque ritroviamo l’incantatore che doma il leone e affascina i serpenti. Il leone è il fuoco celeste, i serpenti sono le correnti elettriche e magnetiche della terra. È a questo grande segreto dei magi che bisogna riferire tutte le meraviglie della magia ermetica, di cui le tradizioni dicono ancora che il segreto della grande opera consiste nel dominio del fuoco.4