L'antico proverbio tratto dal discorso di Tito Caio al senato romano - verba volant, scripta manent - esprime la grande differenza che tradizionalmente è esistita fra oralità e scrittura, fra parola "detta" e parola "scritta", attribuendo alla prima un carattere di volatilità e di non-permanenza, e alla seconda un carattere di stabilità e perpetuità. Il suggerimento implicito al proverbio è quello di prestare grande attenzione a ciò che si scrive, dato il carattere incontrovertibilmente documentario della scrittura, che rimane nel tempo ed impegna - nel bene e nel male - lo scrittore per sempre.
Con l'avvento delle nuove tecnologie informatiche di comunicazione, questo rapporto fra parola volatile e scrittura persistente è profondamente cambiato: la parola scritta è diventata a tutti gli effetti "volatile" (pensiamo agli sms, alle email o in generale alla scrittura digitale), assumendo la provvisorietà e l'inconsistenza tipiche della parola pronunciata; questa, a sua volta, rafforzata dalla virale attività di registrazione e documentazione videografica (e la conseguente archiviazione in sæcula sæculorum nelle reti telematiche), ha - viceversa - fatto proprie quelle caratteristiche di persistenza e probatorietà tipiche della scrittura.
Questa con-fusione - tipicamente post-moderna - di caratteristiche strutturali "portanti" della rappresentazione del mondo, produce un orizzonte inedito di comunicazione col quale confrontarsi, non senza problemi di adattamento. Per esempio, il processo di rifinitura formale del discorso, tipico della scrittura, molto difficilmente potrà essere applicato alla registrazione della comunicazione orale; d'altronde, il "parlare come un libro stampato" necessariamente deve rinunciare alla dimensione performativa dell'improvvisazione retorica, per definizione molto poco controllabile.
Inoltre, il discorso scritto è stato tradizionalmente un discorso logico (logos), mentre il discorso pronunciato è stato tradizionalmente un discorso mitico (mythos).
Pubblicare in versione videografica estratti da lezioni tenute "in presenza", non ha dunque un mero senso documentario, che difficilmente potrebbe sostituire l'esperienza dell'incontro - correttamente contestualizzato - fra interlocutori istituzionali (docenti e studenti), ma piuttosto quello di sperimentare e verificare l'efficacia di nuove forme di "scrittura", mettendoci - come si dice - "la faccia" ed accettando i rischi che - immancabilmente - ogni riformulazione di assetti comunicazionali - ed esistenziali - consolidati comporta.
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Ascoltando questi paragoni tra religione e tecnologia, avatar e angeli, tra videogioco e cinema, ripenso al film “Her” del 2013 di Spike Jonze. Conoscendo il contenuto concettuale del film in questione sono convinta che se il film fosse stato intitolato “Him”, sarebbe stato un film sulla religione, e avremmo interpretato tutti questo “Him” come “Dio”. Film come “Her” o serie televisive come “Black Mirror” (2001 – in produzione), mi sembrano esempi cinematografici interessanti da analizzare sotto questa prospettiva di visione tecnologica contemporanea, come tanti altri nel cinema contemporaneo.